Chiamatelo scemo. Uno che lascia moglie e figli in America, in ristrettezze e per dimenticare i suoi insuccessi fa un viaggetto di un anno, New York – Gerusalemme andata e ritorno, destinazione se stesso. Chiamatelo scemo uno che a metà strada si ferma a Roma, dietro al Pantheon, in Piazza della Minerva, nell’hotel delle celebrità e ci resta più di un mese.
Si chiamava Herman Melville l’ospite atteso il 25 febbraio 1857. Nessuna targa lo ricorda oggi, forse per questi ricordi di pietra rivestiti:
–Roma mi ha dato un’impressione di piattezza, piatta da dare oppressione, scrisse deposti i bagagli a terra.
–L’intero paesaggio non sarebbe nulla se si prescindesse dalle memorie, scrisse lasciati i bagagli in camera.
–Il Tevere è un canale che cola giallo zafferano, scrisse volgendo lo sguardo oltre il fiume.
-La facciata è deludente, la cupola non eguaglia le meraviglie di Santa Sofia, scrisse volgendo lo sguardo a San Pietro.
–Fumo denso, personaggi dall’aspetto litigioso scrisse mirando i tavolini del Caffè Greco, in via Condotti.
–Non c’è luogo dove un uomo solo si senta più solo che a Roma, scrisse ascoltando una musica al Pincio.
Era il suo mood, invero, poche emozioni, tanta sostanza, fotografie a parole in mancanza di dagherrotipi. Ovvio, ogni tanto il cuore cedeva, davanti alle Terme di Caracalla, stupende, o a Palazzo Farnese, la più bella architettura tra le dimore private, o all’Apollo del Belvedere, una specie di risposta visibile a quel tipo di umane aspirazioni alla bellezza. E furono proprio le statue a colpirlo di più, dai giganteschi santi di San Giovanni in Laterano che l’accolsero all’arrivo, ai Cesari, ai filosofi, ai senatori sparsi dovunque, la vera e immortale popolazione della città. Una in particolare, gli restò così dentro che venne fuori solo al ritorno in America: leggete Billy Budd, la descrizione di John Claggart è modellata sul ricordo del Tiberio visto ai Musei Capitolini. Due infami senza redenzione.
UTILITATES
-I corsivi sono tratti da “Diario Italiano”, Herman Melville, Robin Editore, 2002.
-Piazza della Minerva è la chiesa omonima e l’obelisco del Bernini. La loro storia qui.